LA CELIACHIA
La celiachia è definita come un’enteropatia cronica, immunomediata, che si manifesta in soggetti predisposti geneticamente (con aplotipo DQ2 e/o DQ8 positivo) in seguito all’ingestione di glutine.
La diagnosi di celiachia può essere effettuata lungo tutto il corso della vita, quindi in presenza di sintomi o parenti affetti da celiachia è bene sottoporsi al controllo degli esami ematici, meglio se fatto ogni cinque anni.
Celiaci infatti non si nasce, ma si diventa!
L’incidenza è circa dell’1-3% e varia molto in base all’area geografica (in certe regioni del nord Africa l’incidenza arriva fino al 6%).
La patogenesi della celiachia si fonda sul ruolo dei linfociti T, che dopo essere stati attivati dalla gliadina (proteina presente nel glutine), si dirigono nella lamina propria sub endoteliale e iniziano a produrre citochine e altri mediatori dell’infiammazione, che provocano apoptosi cellulare e quindi appiattimento della mucosa intestinale.
Se lo stimolo nocivo perdura, vengono attivati anche i linfociti B, con produzione di anticorpi anti transglutamminasi, antigliadina e antiendomisio, utili per la diagnosi.
Il gold standard resta comunque la biopsia duodenale del Tenue, che si classifica in base alla lesione trovata secondo i criteri di Marsh.
Molte diagnosi sono ancora misconosciute, per cui è importante fare prevenzione e ricercare anche i casi più nascosti, dato che non tutte le persone con celiachia hanno i sintomi caratteristici della celiachia definita come classica.
La celiachia può essere classica, atipica, potenziale e refrattaria:
- la forma classica si manifesta con diarrea e dolori addominali, dimagrimento, malassorbimento;
- la forma atipica si manifesta con sintomi variabili molto sintomi alla sindrome dell’intestino irritabile;
- la forma potenziale mostra test sierologico positivo, ma no lesioni di mucosa;
- la forma refrattaria mostra un quadro sintomatico ancora dopo dodici mesi di dieta aglutinata stretta e necessita di terapia farmacologica per ridurre l’infiammazione.
Conseguenze di una celiachia agli esordi o non trattata possono essere: rialzo delle transamminasi, anemia microcitica o macrocitica, osteopenia e osteoporosi, deficit di vitamina D, astenia, dimagrimento, scarso accrescimento nei bambini dovuto al malassorbimento di nutrienti, aborti spontanei e irregolarità mestruali nella donna, infertilità nell’uomo. In casi gravi e rari l’infiammazione protratta può condurre a neoplasie del tenue come l’adenocarcinoma.
COSA PUO’ FARE IL PAZIENTE CELIACO, DOPO LA DIAGNOSI?
Intanto, essere adeguatamente informato sulla sua patologia e non trascurare i controlli annuali e scadenzati come visita internistica e controllo dietologico, esami strumentali, come la dexa, e quelli ematici degli anticorpi anti transglutamminasi, che possono rivelare l’adeguata aderenza alla dieta e quindi il controllo dell’infiammazione che caratterizza la patologia.
Il cardine della terapia è la dieta aglutinata stretta, senza sgarri, evitando alimenti contenenti glutine come grano, farro, semola, segale, orzo.
Tale dieta costituita da cereali senza glutine come miglio, amaranto, grano saraceno, quinoa, riso, mais, tapioca, sorgo, non ammette alimenti che siano contaminati da glutine, quindi no anche ai preparati industriali contenenti grano et similia.
Una sicurezza per il paziente celiaco è la presenza nei prodotti della cosi detta “spiga barrata”, che certifica l’assenza di glutine nell’alimento (il celiaco sopporta una quantità minima di glutine definita nell’ordine di 10 mg/die).
La dieta deve essere costruita con alimenti freschi e possibilmente non raffinati, con basso contenuto di zuccheri e moderatamente iperproteica.
L’assunzione ripetuta nella dieta del celiaco di alimenti confezionati come merendine, o cibi grassi può indurre l’insorgenza della sindrome metabolica, quadro polimorfo caratterizzato da ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, ipertensione, circonferenze corporee aumentate, iperglicemia e diabete tipo 2, patologia molto diffusa nella popolazione occidentale, per l’elevato consumo di grassi saturi (superiore al 10%) e la sedentarietà.
L’esclusione di glutine dalla dieta rende il paziente asintomatico, rigenera la mucosa duodenale nell’arco di qualche settimana, con quasi completo accrescimento dei villi intestinali, che così permettono un migliore assorbimento dei nutrienti. Gli anticorpi si normalizzano nell’arco di alcuni mesi.
Una patologia che merita di essere menzionata nell’ambito delle patologie glutine relate è la sensibilità al glutine non celiaca o NCGS, questione molto dibattuta in campo scientifico, ma che ha una sua autonomia nosologica da circa dieci anni.
I pazienti affetti da NCGS, dopo essere stati screenati con diagnosi di esclusione di IBS, intolleranza ai fodmap e allergia al grano, non presentano positività agli anticorpi classici della celiachia, ma traggono grande beneficio dalla dieta aglutinata, soprattutto per i sintomi extra intestinali.
NCGS, infatti, spesso si mostra nel paziente tipico con un quadro di sintomi simil fibromialgici, cefalee ricorrenti, dolori articolari, e dolori addominali, tutti poi diminuiti a seguito della dieta aglutinata.
Talvolta questi pazienti dopo due anni di dieta aglutinata, possono tornare a reintrodurre glutine nella loro alimentazione, sempre in quantità moderate.