COVID E FERTILITA’ MASCHILE
Può l’infezione avere un impatto sugli spermatozoi? A quattro anni dallo scoppio della pandemia vediamo cosa hanno evidenziato gli studi.
Che la pandemia abbia avuto ripercussioni sul mondo della salute riproduttiva di uomini e donne è un dato ormai certo. Ma quali sono stati e, soprattutto, ci sono danni a lungo termine sulla fertilità maschile? Facciamo un po’ di chiarezza.
Gli studi condotti sino ad ora hanno dimostrato che testicoli e spermatozoi, per il loro assetto biomolecolare, non sono attaccati direttamente dal virus. Inoltre analisi sul seme di pazienti infetti e poi guariti non hanno rilevato tracce del virus e questo implica che non ci sia possibilità di trasmissione del virus alla propria partner.
In sintesi, questo virus non può considerarsi come una malattia di trasmissione sessuale.
Le ipotesi che sono state dunque avanzate sul tema da svariati gruppi di ricerca si basano su meccanismi indiretti, che provocano danni conseguentemente a questi tre principali fenomeni:
- Processi infiammatori: la malattia causata da questo virus può scatenare diversi processi infiammatori, più o meno generici o localizzati, che attivano una risposta immunitaria di difesa con la produzione di diversi tipi di proteine (citochine) pro-infiammatorie. Queste proteine potrebbero raggiungere i testicoli, danneggiando i tubuli seminiferi (luogo responsabile della produzione e maturazione degli spermatozoi), alterando così la qualità seminale.
- Alterazioni ormonali: per la corretta produzione degli spermatozoi (spermatogenesi), sono necessari dei livelli adeguati di testosterone. Si sono osservati livelli ridotti di questo ormone nei maschi infettati rispetto a quelli non infettati. Questo fatto potrebbe spiegare la qualità seminale.
- Febbre: è noto che l’insorgenza di febbre, oltre i 38°C per 2-3 giorni, causi una riduzione dei parametri del liquido seminale; in particolar modo, si assiste ad una riduzione del numero e della motilità degli spermatozoi, che di solito di normalizza alcune settimane dopo l’infezione.
Tuttavia, gli studi condotti sui pazienti guariti dall’infezione hanno mostrato che dopo tre mesi dalla guarigione (servono infatti circa 78 giorni per produrre nuovi spermatozoi) i parametri alterati del liquido seminale non erano ancora rientrati nella normalità, anche nei pazienti che hanno avuto sintomi leggeri. Infatti, anche se in questi casi la conta degli spermatozoi è rimasta sostanzialmente invariata, sono diminuite comunque la mobilità e soprattutto la vitalità degli spermatozoi.
Ad oggi sappiamo che il danno spermatico permane anche oltre 100 giorni dalla guarigione, sia in caso di infezioni leggere e brevi, che in casi più gravi o di durata maggiore, ed è stato anche scoperto che esiste una correlazione con l’età: i risultati di uno studio hanno riscontrato, negli uomini di età pari o superiore a 35 anni, un aumento della percentuale di spermatozoi con DNA frammentato, in aggiunta alla diminuzione di tutti gli altri parametri sopra citati.
Sebbene siano ancora necessarie ulteriori ricerche per comprendere appieno l’impatto del COVID-19 sui parametri di fertilità maschile a lungo termine, le prove disponibili fino ad ora sottolineano le conseguenze negative di questa malattia infettiva.
Quando si pianifica una gravidanza, è necessario dunque prestare particolare attenzione agli uomini con una pregressa di infezione da COVID-19, indipendentemente dall’entità dell’infezione, soprattutto se over 35, per i quali è opportuno effettuare uno spermiogramma per verificare i parametri di base del liquido seminale.